Si tratta di una malattia infettiva e contagiosa a carattere zoonosico, ad andamento generalmente cronico causata da protozoi del genere Leishmania.
Le leishmanie vennero viste per la prima volta da Cunningham in India nel 1885 in persone affette da “bottone d’Oriente”. Nel 1903 Marchand osservò dei parassiti, simili a quelli visti da Cunningham, in strisci di milza di un cinese morto in Germania di “Kala-azar”; nello stesso anno e quasi contemporaneamente, Leishman e Donovan descrissero dei microrganismi identici ritrovati in persone ammalate di “Kala-azar”.
Questi parassiti vennero denominati Piroplasma donovani da Laveran e Mesnil e Leishmania donovani da Ross, mentre i protozoi ritrovati nelle forme di “bottone d’Oriente” vennero chiamati da Wright Leishmania tropica.
Nel 1909 Linderberg isolò dalle ulcere cutanee di un brasiliano un parassita denominato da Vianna (1911) Leishmania braziliensis.
La prima segnalazione di leishmaniosi canina è del 1908 (Nicolle e Comte); in seguito si ebbero diverse altre segnalazioni sulla presenza delle leishmanie in altre specie animali.
Per quanto riguarda l’agente vettore del parassita, il primo a sospettare i flebotomi fu Pressat nel 1905.
Nel 1990 l’OMS riportò i casi di leishmaniosi umana nel mondo nel numero di 12 milioni circa, con un incremento intorno a 400.000 – 1.200.000 di nuovi casi ogni anno, in particolare in paesi della fascia equatoriale e subequatoriale.
La diffusione della malattia risulta influenzata da molti fattori:
• – Ambiente (densità dei flebotomi nelle aree endemiche, altitudine e caratteristiche geologiche del territorio, ecc.);
• – Clima (temperatura, tasso di umidità, ecc.);
• – Condizioni socio-sanitarie (malnutrizione, incidenza nella popolazione umana di soggetti affetti da immunodeficienza acquisita, elevata concentrazione di animali infetti, randagismo, ecc.);
• – Mancanza di presidi immunizzanti (ossia vaccini) efficaci sia nell’uomo che nel cane.
In Italia i casi ufficiali di leishmaniosi umana, nei 5 anni che vanno dal 1994 al 1999, sono stati circa 700 (ma molto probabilmente quelli reali sono molti di più), di cui ben 150 diagnosticati in pazienti HIV positivi. La maggior parte dei soggetti colpiti proviene da regioni endemiche centro-meridionali, nelle quali il cane rappresenta il principale serbatoio di malattia.
Spesso l’uomo, grazie ad una risposta immunitaria cellulo-mediata, non manifesta alcun sintomo in seguito all’infezione; inoltre nelle forme sintomatiche di solito risponde bene alla terapia e guarisce completamente sia dal punto di vista sintomatologico che da quello parassitologico (cosa almeno eccezionale nel cane). Invece nei soggetti immunodepressi gli insuccessi terapeutici e le ricadute sono frequenti, per il tipo di risposta prevalentemente umorale (analogamente a quanto accade nel cane) e conseguente produzione di ingenti quantità di anticorpi non protettivi, con la possibilità di determinare patologie da immunocomplessi.
Le numerose segnalazioni degli ultimi anni di casi di leishmaniosi canina provenienti da aree tradizionalmente ritenute indenni (anche dell’Italia settentrionale), debbono portare alla conclusione che – in pratica – non esistono zone, comunemente abitate, che possano essere considerate completamente sicure. Infatti se fino al 1989 il Nord Italia era considerato praticamente indenne dalla leishmaniosi canina, oggi abbiamo dei focolai accertati in Veneto, Emilia Romagna e Piemonte ed altri probabili in Trentino e Lombardia. La regione
Le leishmanie sono microrganismi dixeni che necessitano di un ospite intermedio costituito da un vettore ematofago, e di uno definitivo, rappresentato dall’ospite vertebrato.
Le leishmanie di nostra pertinenza sono quelle inserite da Lainson e Shaw (1979) nella sezione Suprapylaria, comprendente protozoi parassiti dei soli mammiferi: le fasi di sviluppo dei microrganismi avvengono nelle sezioni enteriche media ed anteriore del flebotomo; il contagio è assicurato dalla puntura dell’insetto parassitato sul mammifero ospite.
La sezione Hypopylaria comprende invece leishmanie proprie dei sauri: i protozoi si insediano e si sviluppano nella porzione enterica posteriore (piloro-ileo-retto) dei flebotomi vettori; il contagio dei sauri si realizza presumibilmente con l’ingestione, da parte dei sauri medesimi, dei flebotomi parassitati.
Infine la sezione Peripylaria comprende leishmanie parassite di mammiferi e sauri: le fasi di sviluppo dei microrganismi si realizzano nella parte enterica posteriore del flebotomo vettore, con migrazione poi dei protozoi nella sezione enterica anteriore; il contagio è assicurato dalla puntura del flebotomo parassitato sul mammifero ospite (e, si presume, sul sauro ospite).
Le leishmanie sono microrganismi dimorfici: nei mammiferi infestati Leishmania si presenta sotto forma di amastigote (da qualcuno detta forma a leishmania) con corpicciolo rotondo, globoso od ovalare, immobile, delle dimensioni di 2-5 µ di lunghezza per 2-3 µ di larghezza, fornito di protoplasma granuloso omogeneo perifericamente delimitato da un plasmalemma tristratificato; di grosso nucleo sferico centrale od eccentrico; di cinetoplasto (kinetoplasto, DNA extranucleare) piriforme od a bastoncino, spesso situato alla periferia del corpo parassitario ed in posizione antinucleare (spesso perpendicolare al nucleo). È presente il rizoplasto, abbozzo di flagello costituito da due microtubuli assiali circondati da 9 paia di microtubuli periferici, che si diparte in prossimità del cinetoplasto da un corpo basale o blefaroplasto e si esaurisce, senza esteriorizzarsi, alla periferia della cellula protozoaria, circoscritto, nel suo breve percorso, da un manicotto citoplasmatico rivestito dal plasmalemma, che qui si invagina profondamente in modo da costituire attorno al rizoplasto stesso una tasca flagellare aperta verso l’esterno.
La via naturale del contagio è rappresentata dall’inoculazione dei promastigoti metaciclici infettanti, da parte dei flebotomi parassitati, durante un pasto di sangue, nella cute (sito primario d’infezione) dei mammiferi ospiti. Non si escludono altre possibili vie di contagio, come quella dell’ingestione volontaria o accidentale, da parte del mammifero, dei flebotomi parassitati.